Cultura della performance: imparare a fermarsi

da | Ott 25, 2025

Viviamo in un tempo che non conosce pause. La parola d’ordine è funzionare: essere sempre attivi, produttivi, impeccabili. Fermarsi viene percepito come un fallimento, o peggio, una colpa. E così corriamo, convinti che il nostro valore si misuri nella capacità di aderire alla performance richiesta dal momento.

Ma dietro la brillantezza dell’efficienza si nasconde spesso altro: stanchezza, ansia, solitudine. Sono solo alcune delle sensazioni che molti portano in terapia.

Penso a un mio paziente che chiameremo Luca, ma potrebbe essere chiunque di noi. Lavora più di tredici ore al giorno, ha una relazione, studia all’università e ripete sempre la stessa frase: “Lo faccio lo stesso.”

Anche quando è esausto, anche quando il corpo urla attraverso dolori, tensioni, insonnie, lui continua.

Nel suo “fare comunque” si riflette qualcosa di profondo: la difficoltà di riconoscere i propri limiti senza sentirsi sbagliati.

Se lo osserviamo da una prospettiva sistemico-relazionale, il comportamento di Luca non nasce nel nulla. È il prodotto di un sistema che abitiamo tutti — famiglia, cultura, lavoro — e che ci insegna che fermarsi è pericoloso.

Messaggi impliciti come “chi si ferma resta indietro”, “non mostrare debolezza”, “se non lo fai tu, nessuno lo farà”, o persino “qualcuno lo farà meglio e prima di te”, si intrecciano dentro di noi fino a diventare regole invisibili. Regole che orientano scelte, relazioni e persino la nostra idea di benessere.

Il corpo, però, non mente. Quando la mente tace, lui parla.

La stanchezza cronica, l’ansia, le tensioni non sono solo fastidiosi sintomi da eliminare, ma segnali di un conflitto tra chi siamo e ciò che il sistema ci chiede di essere. È il corpo che prova a ristabilire un equilibrio che la mente non riesce più a mantenere.

Imparare a fermarsi è un atto radicale. All’inizio disorienta: il silenzio spaventa, la calma sembra vuota, e l’ansia si affaccia con prepotenza.

Ma con il tempo — e, per molti, attraverso il sostegno di uno spazio relazionale protetto come la psicoterapia — diventa possibile scoprire un modo diverso di stare al mondo: esserci senza dover dimostrare, sentire senza dover reagire, vivere senza misurare ogni gesto in termini di risultati.

Riconoscere la cultura della performance dentro di noi è già un primo passo verso il cambiamento. Significa accorgersi che quel modello non è una verità, ma una costruzione collettiva che possiamo trasformare.

Famiglie, scuole e luoghi di lavoro possono diventare spazi più funzionali, in cui il valore non si misura con ciò che facciamo, ma con la nostra capacità di essere autenticamente presenti e vivi.

E se sentiamo il peso del “dover fare comunque”, possiamo concederci di cercare un nuovo ritmo.

Un percorso di psicoterapia può offrire quello spazio sicuro in cui fermarsi non è un errore, ma un atto di cura: un luogo dove esplorare le dinamiche che ci attraversano, dare voce ai nostri limiti e riscoprire la possibilità di incontrarci davvero — con noi stessi e con gli altri.

Perché il valore di una vita non sta in quanto produciamo, ma in quanto riusciamo ad abitarla. Con autenticità. Con presenza. Passo dopo passo.

Dott.ssa Francesca Galletti
Dott.ssa Francesca Galletti

Sono la Dottoressa Francesca Galletti, Psicologa e Psicoterapeuta Familiare.
Nella mia attività di psicologa svolgo un servizio di consulenza psicologica e psicoterapia per adulti, coppie e famiglie.