Piacersi o piacere? Alla ricerca dell’ autenticità tra appartenenza e libertà
Il timore del giudizio altrui è un’esperienza connaturata all’esistenza umana. Fin dai primi anni di vita, lo sguardo dell’altro — genitore, fratello, insegnante, amico — contribuisce a costruire l’immagine che abbiamo di noi stessi.
È attraverso il riflesso che riceviamo dalle relazioni significative che impariamo chi siamo e quanto valiamo. Soffermarsi a riflettere su come i nostri comportamenti influenzino l’immagine che gli altri hanno di noi è parte del processo evolutivo e relazionale.
La nostra identità, infatti, si struttura in un continuo dialogo tra il bisogno di appartenenza e il desiderio di differenziazione, due forze che, se in equilibrio, permettono di crescere in modo autentico e vitale.
Nella prospettiva sistemico-relazionale, ogni individuo è inserito in una rete di legami che lo definiscono e lo influenzano. I comportamenti, le scelte e perfino i desideri non nascono mai in un vuoto, ma prendono forma all’interno del sistema familiare e sociale di riferimento. Nel tentativo di mantenere l’armonia del sistema, spesso impariamo — più o meno consapevolmente — ad assumere ruoli e atteggiamenti che rispondono alle aspettative degli altri.
“Essere come gli altri ci vogliono” può diventare una modalità appresa di protezione, un modo per assicurarsi approvazione, amore e sicurezza. Aderire a modelli socialmente accettabili o a copioni familiari condivisi può essere rassicurante: ci fa sentire parte di qualcosa, riconosciuti, al sicuro.
Tuttavia, quando il bisogno di piacere agli altri diventa predominante, rischiamo di smarrire il contatto con la nostra parte più autentica. Il piacere di sentirsi accettati può trasformarsi in una gabbia invisibile, che imprigiona la spontaneità e impoverisce la relazione con se stessi.
Nella prospettiva simbolico-esperienziale familiare, la crescita personale passa attraverso esperienze emotive intense e trasformative.
La famiglia, come spazio simbolico, offre le prime esperienze di “piacersi” e di “piacere”.
È lì che apprendiamo quanto è lecito mostrarsi, quanto possiamo permetterci di essere diversi, quanto è accolta la nostra autenticità. Quando questi spazi di libertà si restringono, l’adulto che ne deriva può vivere una tensione continua tra il desiderio di essere sé stesso e la paura di perdere l’amore o l’approvazione dell’altro.
Piacersi significa accettarsi nella propria imperfezione, riconoscere il proprio valore indipendentemente dallo sguardo altrui.
Piacere, invece, implica adattarsi alle aspettative esterne per ottenere conferme e appartenenza.
Entrambi i bisogni sono legittimi, ma quando il secondo prevale sul primo, la persona può sentirsi svuotata, alienata, distante da sé.
Ritrovare equilibrio significa imparare a riconoscere le proprie verità interiori, distinguendo ciò che nasce da un desiderio autentico da ciò che risponde a una richiesta implicita del contesto relazionale.
Non si tratta di scegliere tra l’uno e l’altro polo, ma di integrare il bisogno di riconoscimento con la libertà di essere sé stessi. Le crisi, il disagio o il malessere che talvolta emergono lungo il percorso non sono segnali di fallimento, ma messaggi di trasformazione: indicano che è giunto il momento di rinegoziare il proprio posto nel sistema, di ridefinire i confini, di riappropriarsi del diritto di essere come si sceglie di essere.
E allora, qual è la risposta giusta? Piacersi o piacere?
In una prospettiva sistemico-relazionale e simbolico-esperienziale, la domanda “piacersi o piacere?” non trova una risposta univoca, bensì invita a un movimento riflessivo continuo. Ogni fase della vita e ogni configurazione relazionale ripropongono la necessità di ridefinire i confini tra sé e l’altro.
Le crisi, il disagio e il malessere che emergono lungo il percorso non vanno interpretati come segnali di disfunzione, ma come indicatori di un processo trasformativo: momenti in cui il sistema — personale o familiare — viene chiamato a riorganizzarsi per permettere un nuovo equilibrio tra autenticità e appartenenza.
In definitiva, “piacersi” e “piacere” rappresentano i due poli di una dialettica generativa, che trova senso e compimento solo nella loro integrazione. È in questo spazio dinamico che si manifesta la possibilità di essere pienamente sé stessi in relazione.
14.06.2022

Sono la Dottoressa Francesca Galletti, Psicologa e Psicoterapeuta Familiare.
Nella mia attività di psicologa svolgo un servizio di consulenza psicologica e psicoterapia per adulti, coppie e famiglie.